di Fausto Paravidino
regia Fausto Paravidino
con Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Iris Fusetti, Davide Lorino
produzione Teatro Stabile di Bolzano
dal 18 al 30 marzo 2014
Quattro personaggi senza nome che si distinguono per lettera A, B, C, D come elementi di un’espressione matematica. Un uomo legge un libro, una donna lo guarda; la donna gli chiede cosa legge... e così inizia un confronto serrato tra i due, tra argomenti alti e banalità quotidiane, storie di calzini, crisi scampate e attraversate, sospesi, incompatibilità che li portano inesorabilmente a lasciarsi. La coppia si scinde, si spacca, esce dal suo gioco e raddoppia: la donna incontra un altro uomo, l'uomo un'altra donna. La drammaturgia si complica e il conflitto si moltiplica al raddoppio: dagli Affari Interni passiamo agli Affari Esteri.
“Il primo atto è così: loro un po’ si parlano e un po’ parlano al pubblico (che al momento di scrivere ero solo io) - racconta l’autore e regista Fausto Paravidino - Poi c’è un altro atto tutto diverso. La loro storia non funziona più e allora quei due cercano se stessi fuori di casa, così facciamo la conoscenza con altri due personaggi. Terzo atto: resa dei conti.
Resa dei conti non nel senso di vendette, nel senso drammaturgico, i conti devono tornare, quel che s’è seminato si deve raccogliere, se c’è un fucile in scena prima della fine sparerà… quelle cose lì. Qui fucili non ce n’è, ci sono i calzini, ci sono un sacco di gelati, c’è la politica, il vino, Woody Allen, l’Iraq, i figli, il non averne”, Così Paravidino descrive il progredire della sua pièce, ispiratasi, nel motivo iniziale, allo spettacolo “E la notte canta” del norvegese Jon Fosse. Senza cedere alla facile tentazione dell'happy ending, Paravidino lascia parlare i suoi personaggi in maniera semplice, sincopata, rarefatta lasciando spazio alle intenzioni umanamente complicate dei suoi attori, in una finzione scenica sfacciatamente ostentata che diventa artificialità e non falsità, straniamento e non distacco. Ha scritto di lui Rodolfo Di Giammarco su La Repubblica: “Merito impagabile, sa maneggiare un linguaggio semplice, che diremmo analogo, coi dovuti distinguo di lessico e di epoca, a quello che Natalia Ginzburg seppe adottare nella sua drammaturgia.