CRITICA VINCITRICE PREMIO “LO SPETTATORE CRITICO”
Stagione teatrale 2021/2022
Roma, 14/07/2022
Spettatrice vincitrice: Sig.ra Alice Antinucci
Premio: soggiorno di una settimana presso il Villaggio turistico Innamorata all’Isola d’Elba nel mese di settembre 2022.
Spettacolo: “L’opera del fantasma” di Chiara Bonome e Mattia Marcucci
in scena dal 22 dicembre 2021 al 2 gennaio 2022
regia Chiara Bonome
con (in o.a.) Simone Balletti, Chiara Bonome, Valerio Camelin, Chiara David, Sebastian Gimelli Morosini, Mattia Marcucci
Produzione Attori & Tecnici
Nella selezione della critica vincitrice sono state tenute in considerazione anche le critiche pervenute nelle stagioni 19/20 e 20/21 purtroppo interrotte a causa dell’emergenza Covid.
La direttrice artistica Viviana Toniolo ringrazia quanti hanno partecipato a “Lo spettatore critico” e vi invita a cimentarvi con una o più critiche per gli spettacoli prodotti da Attori & Tecnici anche per la prossima stagione.
Di seguito il testo della critica vincitrice:
Un regista esaurito, un tecnico “verace”, una compagnia demotivata, tutti troppo distratti da se stessi per riuscire a preparare lo spettacolo ormai prossimo alla prima. Ma per quello che appare un incidente, il regista muore e la compagnia decide di continuare comunque le prove: “the show must go on”. Ma se già prima le vite dei personaggi, ingarbugliate tra loro più di quanto sembri, impedivano di continuare le prove oltre la scena dello scontro tra Efrem e Von Hofmannsthal, ora il fantasma del regista non fa che rendere ancor più difficile il loro lavoro. Livio infatti non ha abbandonato il palco, ma vi è intrappolato e con sua grande sorpresa, scopre di essere ancora in grado di agire sui suoi compagni, anzi, ora finalmente può far fare loro ciò che vuole. Non è il sogno di ogni regista e drammaturgo? Sì e no, perché questo passatempo divertente e un po’ audace non rimane impunito: il regista scoprirà verità più o meno amare sui suoi compagni. Si rivela così una dualità dello spazio, diviso in quello dei vivi e quello dei morti, fusi e confusi; se da un lato l’assenza di un membro genera un vuoto, i tentativi di aggirarlo sono impediti dalla concreta presenza paranormale dei morti che riescono ad agire su voci e corpi dei vivi. Man mano che si procede nella vicenda, i legami tra i protagonisti si svelano per quelli che realmente erano, talvolta inaspettati, per giungere alla fine ad una situazione alla Agatha Christie, con tutti i personaggi ormai chiusi nello stesso spazio e costretti ad fare i conti con quanto accaduto fino a quel momento. Si amplifica così una nota scura che scorre quasi impercettibile per tutto lo spettacolo. Gli equivoci e le risa nascondevano una realtà cinica, forse malata: nonostante tutti pensino di essere liberi, di stare agendo secondo la propria volontà, ognuno di loro è una pedina di un grande gioco i cui fili sono tenuti da burattinai che finiscono per essere vittime degli eventi generati dal loro tramare.
Lo stesso cinismo lo si ritrova nel modo in cui è raccontata la vita dei teatranti. È un basso costante, non del tutto oscurato dalla frenesia delle scene. La compagnia, che pure, nel suo nucleo fondamentale, sembra avere una vita piuttosto lunga, collabora per uno scopo comune che è quello della fama, il solo vero interesse, associata per paronomasia alla fame, altro concetto che da sempre accompagna la figura del lavoratore del teatro. La morte porta like, promesse di partecipazione all’evento, popolarità. E non è forse questo che sogna chi calca il palco, il fine ultimo di attori e registi (e di chi lavora con loro)? E se le vicende personali vanno lasciate fuori dal teatro perché portarsele in scena è poco professionale, allora il perdono tra i singoli lascia il tempo che trova. Non è la persona che conta, ma il suo solo contributo, in quanto membro della compagnia, al raggiungimento della fama e dell’immortalità che questa concede; ironico come l’unico modo sia il trapasso, il sacrificio ultimo che è chiesto ai protagonisti dalla mente perversa che ordisce l’intrigo.
Il ritmo incalzante della commedia non lascia mai indietro lo spettatore, che se anche dovesse perdersi, viene prontamente recuperato dagli attori. I morti infatti, per quanto confinati nel solo spazio del palcoscenico, sono gli unici a rompere in qualche modo la quarta parete, intavolando un dialogo con gli spettatori e creando per loro uno spettacolo che sembra raggiunge il musical e il cabaret nel momento in cui Livio e Achille fanno cantare e ballare gli attori. Il tocco “teatrale” che porta gli attori quasi sulla ribalta, con lo sguardo rivolto al fondo del teatro e può disturbare, seppur lievemente, alcuni spettatori, si fa coerente nel momento in cui i morti cominciano a far vivere la scena secondo il loro gusto. Numerose diventano a questo punto le citazioni, che non sono mai a caso, citazioni per citazioni, ma in linea con il carattere e i gusti dei personaggi che le realizzano, il che le rende ancor più apprezzabili dagli spettatori.
L’allestimento scenico, quello dello spettacolo di Livio, è semplice ma d’effetto. I lampadari appesi al soffitto creano uno spazio chiuso, ma ampio, nel quale lo spettatore trova spazio per immergersi e lasciarsi trasportare nella vicenda, aiutato in questo processo dalla potenza vocale degli attori e dall’uso degli spazi di platea e galleria.
Nulla è particolarmente originale, né la scenografia né le musiche né l’idea di portare in scena una compagnia sconclusionata, eppure non si scade mai nella banalità o nel cliché, merito un testo brillante che si appoggia a una regia dei movimenti piuttosto complessa. Gli attori riescono a mantenere viva l’attenzione per tutto lo spettacolo, creando un’energia turbinante, che tira a sé gli spettatori e non permette loro di accasciarsi sulla poltrona. Questi morti, più vivi dei vivi, trascinano il pubblico nella loro danza convulsa, lasciandolo soddisfatto e ancora allegro quando le luci si accendono e si torna a casa.
Alice Antinucci